Martedì 14 ottobre è morto, all'età di 99 anni, Franco Castrezzati, nato a Cellatica (BS), il 21 aprile 1926, storico dirigente sindacale e voce simbolo della Strage di Piazza della Loggia.
Durante la manifestazione del 28 maggio 1974, fu lui a parlare dal palco quando l’esplosione di una bomba fascista interruppe il suo discorso, uccidendo otto persone e ferendone oltre cento.
Partigiano nelle Fiamme Verdi durante la Resistenza, Castrezzati fu poi segretario generale della FIM-CISL per vent’anni. Pochi giorni prima della strage, aveva scoperto otto candelotti di tritolo davanti alla sede della Cisl di Brescia.
Aveva studiato in seminario fino alla quinta ginnasio e lavorato poi come correttore di bozze alla casa editrice Morcelliana. Nel gennaio del 1944 era stato chiamato alle armi dalla Repubblica Sociale Italiana, e lui, non avendo alcuna intenzione di unirsi ai fascisti, si nascose e poi fuggì. Venne arrestato, malmenato, e scampò alla fucilazione solo perché minorenne. Riuscito di nuovo a fuggire si unì alla Fiamme Verdi come partigiano in Valle Camonica. Una volta terminata la guerra iniziò il suo impegno sindacale con la LCgil. Dopo la nascita della CISL, nel 1950, si unì alla FIM, e nel 1958 venne eletto a segretario generale proprio dei metalmeccanici CISL, incarico che ricoprì per vent’anni. Il 28 maggio del 1974 era sul palco in piazza della Loggia a Brescia quando l’ordigno piazzato dal gruppo terroristico di estrema destra di Ordine Nuovo interruppe il suo discorso. Pochi giorni prima, il 9 maggio, era stato lui a trovare gli otto candelotti di tritolo che avevano messo all’ingresso della sede della Cisl, in via Zadei. Erano tra alcune casse di materiali depositate all’esterno. La miccia era stata accesa, ma fortunatamente si era spenta perché era rimasta schiacciata. Anche per quello quel giorno era sul palco.
Queste sono le ultime parole del suo discorso, quello che non ha mai terminato di pronunciare:
«Se vogliamo assestare un colpo salutare ai rigurgiti fascisti, diamo un volto più preciso a questa nostra democrazia. Diamogli il volto della libertà ma di una libertà sostanziale e non solo formale; della libertà del bisogno, della libertà di stampa anche per quanti non hanno i mezzi per comprare più testate dei quotidiani; Diamogli il volto della partecipazione, di un governo cioè nel quale il popolo si vede, si specchia e si sente rappresentato. Diamogli il volto della giustizia attraverso la quale l’eguaglianza fra tutti i cittadini sia esaltata in coerenza con i valori di dignità della persona umana».
La frase che non è mai riuscito a concludere resta un manifesto civile contro ogni rigurgito autoritario.





